Lo studio dei media ha avuto nel corso del secolo scorso un’evoluzione molto importante raffinando ed ampliando sempre più i domini/materie di pertinenza. Si è partiti da uno studio caratterizzato dal modello Stimolo/Risposta (“teoria ipodermica”: basata su un modello “tecnico-matematico” e sugli studi di Shannon) nel quale ogni individuo della massa risponde nello stesso modo al singolo messaggio del media. Questa teoria pone l’attenzione sul messaggio, che inalterato nel contenuto e nel significato, arriva al singolo componente della massa (come un ago ipodermico). Gli individui risultano essere degli elementi isolati dal contesto e “privi” di una loro “interpretazione/decodifica” del messaggio soggettiva.  Tale modello è stato fortemente usato nei primi decenni del secolo scorso soprattutto per gli aspetti di propaganda. In questa fase si associa ai media un potere molto forte (media onnipotenti). Presto però, empiricamente ci si è accorti dei limiti del modello e si è reso necessario introdurre degli aspetti sociologici  e psicologici della massa a tal punto da spostare l’attenzione dal messaggio agli effetti. In questa fase il “potere” dei media viene ridimensionato.

 

Negli studi moderni i media riacquisiscono potere (media potenti) basandosi su due aspetti principali: gli effetti a lungo periodo (fin’ora trascurati dalle teorie precedenti) e la consapevolezza di vivere in un contesto in cui le esperienze sono sempre più mediate.

Le teorie moderne si dividono principalmente in tre assi: studi sull’audience, studi sugli emittenti e studi sui new media. In particolare, all’interno dello Studio dell’audience si evidenziano i seguenti modelli:  agenda setting, aspirale del silenzio e teoria della coltivazione.

 

L’Agenda Setting si basa sul concetto che l’individuo tende ad organizzare la propria agenda (intrapersonale e interpersonale) in base all’agenda dei media. I temi ritenuti rilevanti dagli emittenti lo saranno anche per l’audience. La teoria non afferma che l’individuo concordi con il singolo contenuto trasmesso dal media, ma che quel contenuto è di interesse e sul quale è giusto farsi un’opinione e porre attenzione.  È fondamentale quindi capire come i media scelgono i contenuti da inserire nella loro agenda. Esiste una vera e propria selezione delle tematiche da trasformare in contenuti/informazioni. In questa “scelta” possono entrare in gioco diversi aspetti, da quelli puramente “produttivi” al rapporto con entità “esterne” (quali fonti, politica, etc). Il potere di influenzare più o meno la propria agenda dipende dalla tipologia di media. La stampa ha sicuramente una rilevanza maggiore rispetto alla TV o altri media. Riassumendo la teoria si basa essenzialmente su due punti chiavi:

–          Il potere che i media hanno di organizzare la propria agenda

–          L’influenza degli individui ad inserire nella propria agenda i temi presenti nell’agenda dei media

 

La teoria della “spirale del silenzio” spiega come una posizione minoritaria possa diventare maggioritaria se opportunamente investita dall’attenzione dei media. Si basa sul comportamento umano che tende a conformarsi con le opinioni veicolate dai media o comunque ritenute maggioritarie. Tale processo è giustificato dalla paura umana dell’isolamento abbattendo così il potere selettivo di ognuno di noi; le persone esprimono le loro opinione se le percepiscono condivise dal proprio gruppo sociale. Si ha la paura che avere una opinione difforme rispetto alla propria “sfera sociale” porti ad un progressivo isolamento. Questo giustifica come alcune opinioni si diffondano più velocemente di altre e come i media abbiamo la potenzialità di creare un’opinione pubblica presentando una teoria come dominante. I limiti di questa teoria coincidono proprio con i suoi presupposti, non è sempre vero e non è dimostrato che i media eliminano il concetto selettivo del singolo e che il singolo abbia paura dell’isolamento. Tipicamente gli studi di questa teoria si focalizzano sulla televisione come media.

L’ultima teoria sopracitata è la “teoria della coltivazione” nella quale si riconosce alla TV (media a maggior impatto) un ruolo di storytelling e quindi di costruzione di una realtà mediata. L’individuo che consuma molte ore avrà una visione distorta, e quindi uno sfasamento,  della realtà rispetto all’immagine della realtà stessa percepita dalla televisione. Tale teoria ha comunque dei limiti. Nata negli USA non sembra essere facilmente esportabile in altri contesti, in più la teoria non focalizza il potere selettivo di ogni individuo ma piuttosto esegue un’analisi quantitativa.

Altri aspetti da considerare sono gli “scarti di conoscenza” e la “teoria della dipendenza”. Il primo si basa sugli studi delle conoscenze e analizza come i media accrescano lo scarto esistente di conoscenza nella distribuzione sociale.  I media permettono un maggior flusso di informazioni ed i segmenti socioeconomici più elevati tenderanno ad acquisire tali entità in maniera più veloce che i segmenti con un livello socioeconomico più basso. I nuovi media e le nuove tecnologie (vedi internet e quindi digital divide)  aumenteranno inevitabilmente questo gap.

La “teoria della dipendenza”  concepisce la società come un ecosistema ed il sistema dei media è parte integrante del sistema sociale. Il “sistema media” mette a disposizione le risorse informative e tutti gli altri sistemi (singolo individuo, gruppi, etc) vi accedono. Esistono quindi continue iterazioni tra le componenti. Le forme di dipendenza si dividono in tre tipologie: cognitiva (la ricerca della comprensione), di orientamento (interazione) e di svago.

 

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